Oltre alle legislazioni specifiche "di settore", che impongono obblighi a carico dei datori di lavoro verso i lavoratori subordinati e nei confronti di chi lavora all'interno di un'impresa, esistono obblighi di carattere generale a carico dell'imprenditore, di tutelare tutti i soggetti che si trovino nei luoghi di lavoro.
Infatti, al di là di qualsiasi legislazione specifica di carattere prevenzionistico ed antinfortunistico - di cui tratteremo nei paragrafi successivi - va ricordato che sono anzitutto la Costituzione, il Codice Civile ed il Codice Penale a prevedere il cosiddetto "obbligo di sicurezza" a carico di tutti i titolari d'impresa nei confronti dei propri lavoratori.
L'art. 41 della Costituzione recita "L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali".
L'art. 2087 del codice civile ("Tutela delle condizioni di lavoro") recita poi: "L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro".
Si tratta di un obbligo generale, certamente anzitutto verso i lavoratori subordinati, ma che in realtà si estende a tutti i soggetti presenti nel luogo di lavoro per prestare la propria opera.
Infatti, come è stato precisato sia in dottrina che in giurisprudenza, per "prestatori di lavoro" si devono intendere tutti i lavoratori "con o senza retribuzione": sono quindi attratti nella tutela, oltre che i lavoratori subordinati, anche i collaboratori familiari - siano essi continuativi o a carattere occasionale - ed i lavoratori autonomi chiamati a svolgere certe prestazioni.
L'art. 40 del codice penale, al comma 2, afferma che: "Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo".
Quindi, cosa può accadere quando l'imprenditore non ha applicato, ovvero abbia applicato in maniera non conforme alle disposizioni di legge, le misure di prevenzione degli infortuni?
Anzitutto possono esservi delle conseguenze di carattere penale, poiché tale è il carattere della maggior parte delle sanzioni stabilite per l'inosservanza delle disposizioni del D. Lgs n. 81/2008.
In secondo luogo l'imprenditore può essere chiamato a risarcire il danno causato dalla sua inadempienza all'infortunato, chiunque esso sia, in virtù dell'art. 2043 del codice civile: "Qualunque fatto, doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno". Dal combinato disposto di questa norma e del citato art. 2087 del codice civile emerge la responsabilità civile dell'imprenditore.
In terzo luogo, la responsabilità dell'imprenditore può essere invocata, oltre che dall'infortunato, anche dall'INAIL nel caso in cui l'infortunato sia un soggetto rientrante nell'obbligo assicurativo.
L'INAIL, in caso di infortunio o malattia professionale, in tutti i casi in cui l'infortunio o la persona colpita da malattia non coincida con il soggetto tenuto agli adempimenti assicurativi, deve automaticamente erogare le prestazioni economiche previste dalla legge (in particolare, l'indennità giornaliera per il periodo di inabilità temporanea assoluta al lavoro, l'indennizzo in capitale per danno biologico compreso tra il 6% ed il 15%, e la rendita per inabilità permanente quando il danno biologico sia di grado superiore a 15 punti).
L'INAIL può tuttavia, ai sensi degli articoli 10 e 11 del D.P.R. n. 1124 del 1965 (Testo Unico per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) esercitare verso l'imprenditore penalmente responsabile il cosiddetto "diritto di regresso": in questo caso l'imprenditore dovrà risarcire l'INAIL per le somme da essa pagate a titolo d'indennità all'infortunato e per le spese accessorie, nonché il valore capitale dell'eventuale rendita dovuta.
Con l'entrata in vigore del D.Lgs n. 81 del 2008, la responsabilità generale dell'imprenditore, di tipo sia penale che civile, già evidenziata dall'abrogato D.Lgs 626/94, è stata posta ancor maggiormente in evidenza e richiede una sempre maggiore attenzione all'osservanza delle norme antinfortunistiche.
Laddove si riscontri il mancato rispetto delle legislazioni sulla prevenzione dagli infortuni sul lavoro, le cifre che il giudice stabilisce per il risarcimento dei danni all'infortunio o ai suoi eredi, o le cifre relative all'esercizio da parte dell'INAIL del diritto di regresso, sono di norma elevate (vedi paragrafo "11- LE SANZIONI").
Tra il 1989 ed il 1990 sono state emanate otto direttive comunitarie in materia di sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. Ma una direttiva comunitaria diventa effettivamente vigente in ogni singolo Stato membro dell'Unione Europea quando questo adotta un provvedimento di attuazione che fissi, nel rispetto della direttiva, tempi e modalità di applicazione.
Così, per quanto riguarda l'Italia, il provvedimento di attuazione delle otto direttive comunitarie fu costituito dal Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626.
La normativa italiana di settore, basata sui pur validi DPR risalenti agli anni 1955-56, si arricchì in tal modo di nuovi importanti riferimenti.
Successivamente, il testo del D.Lgs. 626/94 ha subito varie ulteriori e numerose modifiche, le prime con il D.Lgs. 19 marzo 1996 n. 242, fino a quando, ad opera della Legge 3 agosto 2007, n. 123, che conteneva una delega al Governo per la rivisitazione dell'intera materia, è stato approvato il Decreto Legislativo 30 aprile 2008, n. 81, che lo ha abrogato.
La disciplina introdotta dal D.Lgs 81/2008 - anch'esso oggetto di successive revisioni, la principale delle quali costituita sinora dal D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106 "Disposizioni integrative e correttive al D.Lgs. 81/2008 in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro" è rivolta indifferentemente a tutti i settori economici e a tutte le aziende, compresi i lavoratori autonomi e le imprese familiari, sia pubbliche che private, ed è entrata in vigore a partire dal 15 maggio 2008.
Il citato D.Lgs si configura come uno strumento unitario di riferimento per tutti i soggetti coinvolti nella gestione della sicurezza, infatti è stato definito un "Testo Unico" sulla sicurezza del lavoro" (di seguito, in breve, T.U.) riorganizzando la normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro ed armonizzando le leggi vigenti in materia.
La normativa in esame riguarda in generale il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro, riconfermando l'obbligo - da parte di tutti i datori di lavoro - di introdurre in ogni azienda, un modello organizzativo diretto alla sistematica individuazione e rimozione o diminuzione dei fattori di rischio presenti.
Come per il D.Lgs. 626/94, l'intento della disciplina è di costituire la sicurezza come sistema all'interno dei processi produttivi, come parte costitutiva dell'organizzazione aziendale.
Le disposizioni emanate con il T.U., sebbene talvolta rimandino a ulteriori decreti applicativi di futura emanazione, rispettano alcuni principi e criteri direttivi generali, tra i quali si ritengono particolarmente importanti:
Alcune novità introdotte dal D.Lgs 81/08 rispetto D.Lgs 626/94 sono molto importanti: ad esempio, le nuove norme, seppur semplificate, sono state estese a quelle aziende che non assumono lavoratori subordinati avvalendosi solo di lavoro dei familiari e/o autonomo.
In realtà, siamo tutti coscienti del fatto che, essendosi in gran parte armonizzata (e in gran parte recepita) la normativa preesistente, ed essendosi rimandato a prossime disposizioni, solo al temine di un lungo tempo "di rodaggio" (che ogni nuova importante normativa implica) ci sarà permesso di comprendere se davvero si potrà dire di avere superato il fardello principale che da sempre si è portato appresso il "vecchio" D.Lgs 626/94: quello di essere stato concepito prevalentemente per luoghi di lavoro simili a un reparto metalmeccanico oppure ad un cantiere edile, in cui si lavori molto per appalti e subappalti: situazioni, entrambe, molto diverse da quelle reali del settore agricolo.
In chiusura, vale la pena ricordare che le Regioni e le Province autonome, sulla base di specifici protocolli di intesa tra le parti sociali, o gli enti bilaterali, e l'INAIL, possono finanziare progetti diretti a favorire la diffusione di soluzioni tecnologiche o organizzative avanzate in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Inoltre, adottando opportuni provvedimenti migliorativi "volontari" è possibile accedere ad una riduzione del tasso dei premi corrisposti ad INAIL per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
Per avere un quadro generale dei soggetti coinvolti dalle disposizioni di carattere organizzativo dettate T.U., sono necessarie alcune delle definizioni contenute nell'art. 2 del medesimo:
Lavoratore: "persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un'attività lavorativa nell'ambito dell'organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione". Sono equiparati i soci lavoratori di cooperative o di società, anche di fatto, che prestino la loro attività per conto della società e degli enti stessi, i soggetti beneficiari di iniziative di tirocini formativi e di orientamento. Gli unici lavoratori dipendenti espressamente esclusi sono gli addetti ai servizi domestici e familiari.
Datore di lavoro (D.L.): "il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva, in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa".
Servizio di prevenzione e protezione dai rischi (S.P.P.): "insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all'azienda, finalizzati all'attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori".
Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (R.S.P.P.): "persona in possesso delle capacità e dei requisiti professionali adeguati (indicati all'art. 32 del T.U.) designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi". In certe condizioni, il compito può essere assunto direttamente dal datore di lavoro.
Medico competente (M.C.) : medico in possesso di un titolo idoneo ad occuparsi della sicurezza e della salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro. Tra le maggiori incombenze, effettua la sorveglianza sanitaria.
Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (R.L.S.): "persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro".
Come detto, le disposizioni del T.U. si applicano in tutti i settori produttivi, e quindi anche nel settore agricolo, e a tutti i lavoratori (esclusi i lavoratori domestici e familiari) rientranti nella definizione sopra riportata.
Per quanto riguarda le imprese agricole, dunque il T.U. si deve applicare in presenza di un qualsiasi lavoratore subordinato, indipendentemente dalla tipologia contrattuale: si devono cioè considerare non solo i lavoratori subordinati agricoli tradizionali (gli operai agricoli a tempo dterminato o indeterminato e gli eventuali impiegati), ma anche quei lavoratori dipendenti assunti mediante una delle forme contrattuali previste dalla cosiddetta "Riforma Biagi" (D.Lgs. n. 276/2003). E' il caso, ad esempio, dei lavoratori assunti con i cosiddetti "buoni lavoro" (altrimenti noti come "voucher") secondo quanto disposto dagli artt. 70 e ss. del citato D.Lgs. 276/2003.
Inoltre, rispetto al ben noto D.Lgs 626/94, le disposizioni introdotte con il T.U. hanno ampliato il panorama dei soggetti interessati.
Il D.Lgs 626/94 si applicava solo ed esclusivamente in presenza di un rapporto di lavoro subordinato (o altro rapporto ad esso equiparato dallo stesso D.Lgs). In sostanza, per l'applicazione del D.Lgs 626/94 era necessaria la presenza di due soggetti ben precisi: un datore di lavoro ed almeno un lavoratore subordinato (nelle aziende agricole, sia esso un salariato fisso o un bracciante), o soggetto equiparato (nelle società, anche di fatto, i soci che prestavano la propria attività in nome e per conto dell'impresa).
Il D.Lgs 81/2008, invece, si applica in modo più esteso: esso contempla, infatti, oltre ai lavoratori subordinati ed ai soci delle società, anche i lavoratori autonomi che compiono specifiche opere o servizi, i componenti delle imprese familiari, i piccoli imprenditori (tali sono, nel settore agricolo, i coltivatori diretti).
Nei confronti delle varie tipologie di lavoratori, tuttavia, le disposizioni del D.Lgs 81/2008, non si applicano integralmente. L'applicazione integrale delle norme riguarda solo i rapporti di lavoro subordinato; per le altre tipologie di lavoratori, si applicano unicamente talune specifiche disposizioni e non la totalità degli obblighi.
Inoltre, il legislatore ha originariamente previsto regole particolari per le imprese medie e piccole che operano nel settore agricolo; per tenere conto della specificità del settore, nel quale molte aziende si avvalgono di lavoro subordinato anche solo per pochissime giornate nell'anno: entro i 90 giorni dall'entrata in vigore del D.Lgs 81/08 (ovvero entro il 12 agosto 2008), era prevista l'emanazione di disposizioni specifiche che avrebbero dovuto semplificare gli adempimenti relativi quantomeno alle fasi obbligatorie di informazione, formazione e sorveglianza sanitaria previsti dal T.U.; tali semplificazioni, al momento non ancora emanate, saranno valide per le sole imprese che impiegano lavoratori stagionali ciascuno dei quali non superi le 50 giornate lavorative e in numero complessivo compatibile con gli ordinamenti colturali aziendali.
Il T.U. equipara ai lavoratori subordinati i soci lavoratori di cooperativa o di società, anche di fatto, che prestino la propria opera per conto della società e dell'ente stesso.
Ciò comporta che il T.U. si deve applicare, in generale, in tutte le società o cooperative nelle quali, sebbene non siano impiegati lavoratori subordinati, uno o più soci prestino la propria opera.
Il datore di lavoro deve essere individuato nel legale rappresentante della società e, se la rappresentanza della società (come avviene di norma nelle società di persone) spetta a tutti i soci, l'obbligo ricadrà in solido su ciascuno di essi. È tuttavia possibile delegare espressamente un singolo socio al compimento di tutti gli atti necessari all'applicazione della normativa da parte della società; dovrà essere individuato da atto scritto con data certa e accettazione della delega, dovrà possedere idonei requisiti di professionalità ed esperienza, potere di organizzazione, gestione e controllo, autonomia di spesa. In tal caso, il socio individuato assumerà a tutti gli effetti il ruolo di "unico datore di lavoro" per quanto attiene gli adempimenti sulla sicurezza del lavoro.
Quanto detto riguarda anche le "società di fatto", cioè quelle situazioni in cui non esiste una società effettivamente e regolarmente costituita, e tuttavia le persone si comportano esattamente come se così fosse, sia nei loro rapporti interni (per esempio, dividono gli utili), sia nei rapporti con i terzi.
Come detto, una delle più impattanti innovazioni del T.U. nel settore agricolo è la presenza di alcune disposizioni relative a tipologie lavorative precedentemente escluse o diversamente considerate dal D.Lgs 626/94.
Tali facoltà potrebbero diventare obblighi qualora richiesti dalle Regioni.
Si ricorda che, ai sensi dell'art. 230-bis del codice civile, a condizione che prestino in modo continuativo la propria attività nella famiglia o nell'impresa familiare, sono considerati collaboratori dell'imprenditore: il coniuge, i parenti entro il 3° grado e gli affini entro il 2° grado (vedasi schema riportato di seguito). Diversamente da quanto indicato dal precedente D.Lgs 626/94 e dalle relative circolari esplicative, i componenti l'impresa familiare (collaboratori familiari) di cui all'art. 230-bis del codice civile) sono richiamati espressamente dal D.Lgs 81/2008.
D'altra parte, lo stesso art. 230-bis ammette la possibilità che tra l'imprenditore ed il familiare si possa configurare un rapporto diverso rispetto a quello dell'impresa familiare: per esempio, l'imprenditore può instaurare con un familiare un effettivo rapporto di lavoro subordinato; in tal caso si ricade nella situazione di obbligo di applicazione integrale del D.Lgs.
prospetto parentele e affinità nell'impresa familiare
Nell'ambito delle imprese agricole diretto-coltivatrici, la legislazione relativa agli obblighi assicurativi a fini pensionistici va oltre i gradi di parentela e di affinità previsti dall'art. 230-bis. Infatti, la legge 9 gennaio 1963, n. 9, all'art. 3, comma 2, dispone che sono esclusi dalla assicurazione (ai fini Inps e Inail) coloro che siano parenti od affini oltre il quarto grado del titolare dell'impresa coltivatrice diretta; il significato della disposizione è che, in presenza dei requisiti soggettivi dettati dalla stesse legge n. 9/1963, il titolare dell'impresa diretto-coltivatrice è obbligato ad assicurare ai fini pensionistici e infortunistici i propri parenti ed affini entro il 4° grado, iscrivendoli negli appositi elenchi tenuti dall'Inps.
Si tratta, tuttavia, di un mero obbligo contributivo e di denuncia degli infortuni occorsi.
Per quanto riguarda l'obbligo, nelle aziende diretto-coltivatrici, di applicazione delle discipline di prevenzione nei confronti dei collaboratori familiari, già precedentemente escluso dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 212/1993, si ricorda che: ai sensi dell'art. 230-bis del codice civile, per familiare si intende il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo; per impresa familiare si intende quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo.
I parenti diversi sono da considerare "lavoratori" come tutti gli altri: ne consegue che i parenti oltre il terzo grado e gli affini oltre il secondo grado, anche se iscritti ai fini pensionistici e infortunistici nel nucleo della famiglia diretto coltivatrice, per quanto riguarda l'applicazione del T.U. devono essere considerati come "lavoratori".
L'utilizzo di prestazioni gratuite, occasionali o ricorrenti di breve periodo da parte di familiari è regolato dall'art. 74 (il cui titolo è "Prestazioni che esulano dal mercato del lavoro") del già citato D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, che così dispone: «Con specifico riguardo alle attività agricole, non integrano in ogni caso un rapporto di lavoro autonomo o subordinato le prestazioni svolte da parenti e affini sino al quarto grado in modo meramente occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salvo le spese di mantenimento e di esecuzione dei lavori».
Il T.U. non indica espressamente se le norme in materia di sicurezza debbano essere applicate anche nei confronti di questi familiari. Se ne parla nell'art. 4, dedicato al computo del numero dei lavoratori (vedi il paragrafo 4.1) dal quale possono dipendere particolari modalità di svolgimento degli adempimenti da parte del datore di lavoro: secondo la lettera e) del citato art. 4, i familiari in questione vanno esclusi dal conteggio. Ciò non significa, tuttavia, che verso tali familiari non debbano essere applicate le norme del T.U., ma solo che non vanno computati nel numero dei lavoratori: un'interpretazione prudenziale vuole quindi che le norme sulla sicurezza, almeno quelle previste dall'art. 21 del T.U. si applichino anche ai familiari che prestano la propria attività in modo occasionale o ricorrente di breve periodo ai sensi dell'art. 74 del D.Lgs. n. 276/2003.
Nelle more delle future precisazioni ed interpretazioni giuridiche, si può formulare il seguente quadro riassuntivo per l'applicazione del T.U. nelle imprese agricole:
imprese individuali | applicazione integrale del D.Lgs nei confronti dei lavoratori subordinati | applicazione del solo art. 21 nei confronti del titolare se coltivatore diretto, e dei suoi collaboratori familiari. |
soci delle società semplici | applicazione integrale del D.Lgs nei confronti dei lavoratori subordinati ed equiparati | applicazione del solo art. 21 nei confronti dei soci che prestano la propria attività nella società. |
altre società | Applicazione integrale del D.Lgs nei confronti dei lavoratori subordinati | Applicazione integrale del D.Lgs nei confronti dei soci che prestano la propria attività nella società |
La serie di adempimenti di carattere organizzativo che il T.U. pone a carico del datore di lavoro non è riferita all'azienda nel suo complesso, bensì alla singola unità produttiva.
Il T.U. definisce l'unità produttiva come «stabilimento o struttura finalizzata alla produzione di beni o all'erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale».
Data la definizione, possiamo dire che l'assoluta maggior parte delle aziende agricole equivalgono ad una unica unità produttiva.
Nei casi in cui l'azienda agricola, sebbene diretta in modo unitario dall'imprenditore individuale o dalla società, sia articolata in più "punti produttivi" non interdipendenti fra loro sotto il profilo tecnico-funzionale, sarà necessario adempiere agli obblighi previsti dal T.U. in ciascuno di questi "punti".
I vari obblighi imposti al datore di lavoro che debba applicare il T.U. ruotano attorno ad un adempimento fondamentale non delegabile: la valutazione dei rischi.
Il T.U. prevede che tutti i datori di lavoro agricoli debbano provvedere alla valutazione dei rischi, ma stabilisce diverse modalità, come di seguito specificato, in funzione del numero dei lavoratori impiegati in azienda.
Sia il documento scritto che l'autocertificazione debbono essere conservati in azienda e resi disponibili, anche mediante invio, al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
Qualora fosse emanato il Decreto Interministeriale contenente le procedure standardizzate di cui al punto 1.A, anche tali aziende potranno giovarsi della possibilità di redigere il documento di valutazione dei rischi secondo tale semplificazione. Nel caso esso non venga emanato, l'Azienda dovrà comunque dotarsi di D.V.R. integrale.
Il T.U. deve essere applicato integralmente, fin dalla sua entrata in vigore, con redazione del documento di valutazione secondo l'art. 28.
Il documento di valutazione dei rischi deve essere corredato di "data certa" oppure di attestazione di sottoscrizione da parte del D.L. del RSPP, del RLS, del MC.
Il documento di valutazione dei rischi deve essere rielaborato entro 30 giorni in caso di modifiche significative del processo produttivo o della organizzazione del lavoro ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità.
Nel caso di azienda di nuova istituzione, il D.L. deve effettuare la valutazione dei rischi entro 90 giorni dall'inizio dell'attività.
Ad esempio, per decidere se il datore di lavoro agricolo, ai fini della valutazione del rischio, possa ancora usufruire della semplice "autocertificazione" (quantomeno fino alla scadenza fissata o fino all'emanazione delle procedure semplificate di cui al punto precedente) oppure debba redigere il documento scritto, bisogna determinare se impiega fino a 10 o più di 10 lavoratori.
I lavoratori utilizzati mediante somministrazione di lavoro e i lavoratori assunti part-time sono computati sulla base del numero di ore di lavoro effettivamente prestato nell'arco di un semestre.
Gli operai impiegati a tempo determinato, anche stagionali, nel settore agricolo sono conteggiati per frazioni di unità-lavorative-anno (U.L.A.) individuate sulla base della normativa comunitaria, da calcolare facendo uso di apposite formule, quali ad es:
U.L.A. = D x Md/12 x Od/Ocin cui:
Il personale in forza si computa a prescindere dalla durata del contratto e dall'orario di lavoro effettuato (fatto salvo quanto previsto dal comma 4, nell'ambito delle attività stagionali definite dal D.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525 e successive modificazioni, nonché di quelle individuate dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative).
Si ribadisce che il computo del numero dei lavoratori serve solo ed esclusivamente:
Come indicato dall'art. 31, e fatto salvo quanto previsto dall'art. 34 (vedi: punto 5.1.1.2. relativo all'assunzione in proprio del compito da parte del Datore di Lavoro), il Datore di Lavoro ha l'obbligo di:
oppure
Il SPP sarà di norma costituito da un Responsabile del servizio (interno o esterno) e - eventualmente - da addetti; tutti i componenti il Servizio dovranno:
Il SPP deve avere un Responsabile (R.S.P.P.), la cui nomina è un obbligo fondamentale non delegabile da parte del datore di lavoro. In base al numero di addetti conteggiati in azienda (vedi: punto 4.1.), si possono presentare due situazioni:
Caso A) l'azienda agricola e/o zootecnica ha un numero di addetti superiore a 30. In questo caso è obbligatorio che il R.S.P.P. sia persona diversa dal datore di lavoro e il datore di lavoro può adempiere in due modi diversi:
Caso B) l'azienda ha un numero di addetti (vedi punto A) non superiore a 30. In tale circostanza, il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti di R.S.P.P. (eventualmente avvalendosi di persone esterne all'azienda che integrino la sua azione). Rimane comunque valida l'alternativa di nominare un dipendente o un consulente esterno.
I T.U. (art.32) stabilisce le capacità ed i requisiti professionali che devono essere posseduti dagli addetti e dai responsabili dei SPP nominati dal datore di lavoro.
Con il nuovo T.U. il nominativo del R.S.P.P. non deve più essere comunicato all'Azienda U.S.L. ed all'Ispettorato del Lavoro competenti, ma sulla sua designazione deve essere consultato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
Deve essere disponibile in azienda anche una dichiarazione nella quale si attestino i compiti svolti, il curriculum professionale e la durata dell'incarico all'R.S.P.P.
La norma, nello stabilire che le capacità ed i requisiti professionali devono essere, in ogni caso, adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative, ha disposto che il R.S.P.P. deve essere in possesso dei seguenti tre titoli:
I corsi di formazione di cui al punto b) sono organizzati da diversi soggetti, tra cui: le regioni e province autonome, le università, l'ISPESL (Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro), l'INAIL (Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro), il Corpo Nazionale dei vigili del fuoco, le associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori o gli organismi paritetici. La Conferenza permanente Stato-Regioni-Province autonome di Trento e di Bolzano individua gli indirizzi ed i requisiti minimi dei corsi, nonché altri eventuali soggetti formatori qualificati (per ulteriori dettagli a livello regionale, vedasi la Delib. G.R. n. 938 del 3/7/2006).
Inoltre, la legge stabilisce che i R.S.P.P. (e gli A.S.P.P. = addetti al SPP) sono tenuti a frequentare corsi di aggiornamento secondo indirizzi definiti in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con cadenza almeno quinquennale.
Possono svolgere l'attività di responsabile del SPP o di addetto al SPP coloro che pur non essendo in possesso di titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore dimostrino di avere svolto l'attività medesima, professionalmente o alle dipendenze di un datore di lavoro, almeno da sei mesi alla data del 13 agosto 2003 previo svolgimento dei corsi secondo quanto previsto dall'accordo del 26 gennaio 2006, al comma 2.
Se il datore di lavoro, nei casi in cui gli sia consentito farlo (vedi: punto 5.1.1. - Caso B), decide di assumere direttamente i compiti di R.S.P.P., non deve più trasmettere (come invece previsto dal D.Lgs 626/94) alcuna comunicazione formale all'Azienda U.S.L.
Tuttavia, dovendo risultare qualificato per il compito che va assumendo, è necessario che abbia seguito o segua corsi idonei (così come definito al comma 2 dell'art. 34 del T.U.), i cui contenuti ed articolazione sono stati recentemente definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente "Stato Regioni" (vedasi "Accordo 21 dicembre 2011. Accordo tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sui corsi di formazione per lo svolgimento diretto, da parte del datore di lavoro, dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi, ai sensi dell'articolo 34 (ora art. 22), commi 2 e 3, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81" - Pubblicato in Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 8 del 11-1-2012)
Al momento, tenuto conto del fatto che il settore agricolo è stato classificato "a medio rischio", si possono quindi presentare 3 differenti situazioni:
datori di lavoro esonerati dalla frequenza dei Corsi, in quanto "auto-nominatisi" entro il 31/12/1996 (sulla base del previdente art. 95 del D.Lgs 626/94): per essi continua a valere il titolo di RSPP. Entro 24 mesi dalla data di pubblicazione dell'Accordo, ovvero entro il 11/01/2014, affinché il titolo rimanga ulteriormente valido, sono però tenuti a frequentare un aggiornamento periodico obbligatorio di durata minima pari a 10 ore. Analogo aggiornamento andrà poi ripetuto con frequenza quinquennale.
datori di lavoro che abbiano frequentato i corsi di durata minima di 16 ore (vedi: punto 5.1.1.2.) di cui all'art. 3 del D.M. 16 gennaio 1997; tali corsi conservano la loro validità. Entro 5 anni dalla data di pubblicazione dell'Accordo, ovvero entro il 11/01/2017, affinché il titolo rimanga ulteriormente valido, sono però tenuti a frequentare un aggiornamento obbligatorio periodico di durata minima pari a 10 ore. Analogo aggiornamento andrà poi ripetuto con frequenza quinquennale.
datori di lavoro che acquisiranno il titolo di R.S.P.P. dopo 6 mesi dalla pubblicazione dell'Accordo (limite massimo del "periodo transitorio" previsto dall'accordo), ovvero successivamente al 26 luglio 2012. Tali datori di lavoro dovranno seguire corsi di formazione adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relative alle attività lavorative, la cui durata dipende dalla classificazione aziendale nei gruppi "alto-medio-basso" rischio, secondo i criteri definiti dall'accordo stesso. Anche costoro sono comunque tenuti a frequentare un aggiornamento periodico obbligatorio di durata minima pari a 10 ore con frequenza quinquennale, a decorrere dal 26 luglio 2012.
In tutti e tre i casi, quindi, i datori di lavoro che svolgono/svolgeranno i compiti di R.S.P.P., saranno obbligati a frequentare corsi di aggiornamento quinquennali in cui si dovranno trattare significative evoluzioni e innovazioni, applicazioni pratiche e/o approfondimenti negli ambiti più importanti, quali ad esempio: approfondimenti tecnico-organizzativi e giuridico-normativi; sistemi di gestione e processi organizzativi; fonti di rischio, compresi i rischi di tipo ergonomico; tecniche di comunicazione, volte all'informazione e formazione dei lavoratori in tema di promozione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il datore di lavoro, che necessiti di lavoratori secondo la definizione di "lavoratore" espressa dal T.U., è in ogni caso tenuto ad avere sin da ora - ma a dire il vero da tempo - un R.S.P.P. della propria azienda. Qualora intenda nominare se stesso, ma non può farlo perché non rientra nelle condizioni di cui al punto A), oppure perché non ha ancora seguito l'idoneo corso di cui al punto B) o C), dovrà nominare temporaneamente un'altra persona, iscriversi al corso, frequentarlo con profitto fino all'ottenimento dell'attestato, revocare la nomina ad altra persona ed assumere quindi la diretta responsabilità.
Nel caso di azienda di nuova istituzione, il D.L. che voglia assumere in proprio la carica di RSPP deve completare il percorso formativo indicato nel presente accordo entro 90 giorni dalla data di inizio dell'attività.
Essendo stati emanati i criteri e le articolazioni dei nuovi corsi, non è più possibile, al momento, fare riferimento al Decreto 16 gennaio 1997 del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, che all’art. 3 aveva stabilito che i contenuti minimi della formazione dei datori di lavoro che intendessero assumere direttamente i compiti propri del R.S.P.P. Allo stato attuale,occorre fare riferimento alle articolazioni e rispettare i contenuti minimi definiti dall’Accordo della Conferenza Stato-Regioni, che prevede lo sviluppo di 4 Moduli:
MODULO 1. NORMATIVO - GIURIDICO
MODULO 2. GESTIONALE - gestione ed organizzazione della sicurezza
MODULO 3. TECNICO - individuazione e valutazione dei rischi
MODULO 4. RELAZIONALE - formazione e consultazione dei lavoratori
La stessa norma ha stabilito che la durata minima dei corsi per i datori di lavoro del settore agricolo è di 32 ore (non più 16).
Semplificando le diciture del T.U., si definiscono (art. 2):
Al datore di lavoro è fatto obbligo di dare ai lavoratori adeguata informazione (art. 36):
Inoltre, il datore di lavoro assicura (art. 37) che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza - anche rispetto alle conoscenze linguistiche - riferita ai concetti generali (rischio, danno, organizzazione della prevenzione, organi di vigilanza, assistenza), ai rischi ed ai possibili danni riferiti alle proprie mansioni ed alle misure e procedure di prevenzione e protezione, ed un adeguato addestramento all’uso di macchine, attrezzature ed utensili.
La formazione deve avvenire in occasione:
La formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti deve avvenire durante l'orario di lavoro, non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori e, ove riguarda i lavoratori immigrati, deve avvenire previa verifica della comprensione e della conoscenza della lingua.
La durata, i contenuti minimi e le modalità della formazione e dell'aggiornamento dei lavoratori e delle lavoratrici - come definiti all'articolo 2, comma 1, lett. a) del T.U. - sono stati codificati mediante recente Accordo in conferenza Stato-Regioni ("ACCORDO 21 dicembre 2011. Accordo tra il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano per la formazione dei lavoratori, ai sensi dell'articolo 37, comma 2, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 - Pubblicato in Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 8 del 11-1-2012).
In particolare, è specificato che la durata minima dei corsi per i lavoratori agricoli è di 12 ore (4 di formazione Generale e 8 di formazione Specifica); inoltre è previsto un aggiornamento obbligatorio quinquennale, di durata minima di 6 ore.
La formazione può avvenire sia in aula che nel luogo di lavoro. Sotto determinate condizioni, lo svolgimento del percorso formativo viene consentito anche attraverso l'impiego di piattaforme e-Learning.
L'Accordo non si applica nei confronti dei lavoratori stagionali individuati nelle disposizioni di cui all'art. 3, comma 13, del T.U. (in sintesi: i lavoratori stagionali che non superino le cinquanta giornate lavorative), per i quali era attesa (entro il 12 agosto 2008) l'emanazione di uno specifico provvedimento per semplificare gli adempimenti relativi all'informazione e formazione, che oggettivamente richiedono modalità e criteri particolari. Qualora tale provvedimento non sia formulato entro ulteriori diciotto mesi dalla data di pubblicazione del citato Accordo, ovvero entro l'11 luglio 2013, a valle di tale data l'Accordo si applicherà anche a tale tipologia di lavoratori.
Viene precisato che la formazione di cui al presente accordo e' distinta da quella prevista dai titoli successivi al I del T.U. o da altre norme, relative a mansioni o ad attrezzature particolari. Ed infatti, qualora il lavoratore svolga operazioni e utilizzi attrezzature per cui il T.U. preveda percorsi formativi ulteriori, specifici e mirati, questi andranno ad integrare la formazione oggetto del presente accordo.
Particolare formazione devono ricevere il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (vedi: par. 6.1. "Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza"), il lavoratore incaricato dell'attività di prevenzione incendi (vedi: par. 5.5.8.1 "Formazione dei lavoratori incaricati") e quello incaricato al primo soccorso (vedi: par. 5.6.2. "Addetti al primo soccorso").
Si ricorda infine che tale Accordo stabilisce anche la formazione facoltativa dei soggetti di cui all'articolo 21, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 81/2008, ovvero: i componenti dell'impresa familiare di cui all'articolo 230-bis del codice civile, i lavoratori autonomi che compiono opere o servizi ai sensi dell'articolo 2222 del codice civile, i coltivatori diretti del fondo, i soci delle società semplici operanti nel settore agricolo, per i quali la formazione risulta tuttora "facoltativa".
Per quanto riguarda l'addestramento, non sono al momento formalizzate indicazioni sulla necessità di frequenza di corsi generici; pertanto deciderà il datore di lavoro tempi e modalità idonee per l'addestramento generale del lavoratore all'uso di attrezzi e di macchine.
Tuttavia, qualora il lavoratore svolga mansioni che prevedono l'utilizzo di particolari macchine/attrezzature, quali quelle individuate dall'Accordo 22 febbraio 2012 "Accordo ai sensi dell'art. 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano concernente l'individuazione delle attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori, nonché le modalità per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi ed i requisiti minimi di validità della formazione, in attuazione dell'art. 73, comma 5, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modifiche e integrazioni. (G.U. 12. Marzo 2012, n. 60 - s.o. n. 47), lo stesso Accordo citato indica obblighi specifici.
Con riferimento al settore agricolo, le macchine di più frequente utilizzo citate dall'Accordo sono le seguenti:
L'Accordo stabilisce modalità e numero di ore minimo di durata del Corso (strutturato in genere su 3 moduli: Giuridico, Tecnico e Pratico) per ottenere l'abilitazione all'uso di ogni macchina, che vanno sommate nel caso di utilizzo di più macchine. Ad esempio, per i trattori agricoli e forestali a ruote sono previsti corsi di 8 ore, cui vanno sommate altre 5 ore per l'eventuale esigenza di abilitazione all'uso anche dei trattori cingolati; per la conduzione di carrelli elevatori semoventi con conducente a bordo, secondo la tipologia e la complessità della macchina, il Corso può essere costituito da 12,16 o anche 20 ore.
Anche in questo caso, per mantenere l'abilitazione è previsto un rinnovo entro 5 anni dalla data di rilascio dell'attestato di abilitazione, previa verifica della partecipazione a corso di aggiornamento della durata minima di 4 ore.
I lavoratori agricoli, in particolare, purchè siano in possesso di "esperienza documentata" almeno pari a 2 anni, hanno il solo obbligo di aggiornamento entro 5 anni (ovvero entro il 12 marzo 2017).
Il T.U. stabilisce (art. 41) che la sorveglianza sanitaria sia effettuata nei casi previsti dalla normativa vigente, dalle Direttive Europee e dalle indicazioni della Commissione Consuntiva e qualora il Medico Competente, su richiesta del lavoratore, ritenga la richiesta stessa giustificata in quanto correlata ai rischi lavorativi (art. 6).
La sorveglianza sanitaria è esercitata dal Medico Competente nominato dal datore di lavoro (obbligo ai sensi dell'art. 18).
Si tratta, dunque, di stabilire quantomeno, in quali casi, la sorveglianza sanitaria sia presumibilmente obbligatoria nelle aziende agricole.
La sorveglianza sanitaria prevede diverse tipologie di visita medica, che possono comprendere gli esami clinici, biologici e le indagini diagnostiche ritenute necessarie dal Medico Competente:
La normativa collega l'obbligatorietà e le modalità di effettuazione della sorveglianza sanitaria sia a precisi fattori di rischio che a specifiche tipologie aziendali o produttive:
La sorveglianza sanitaria è in ogni caso obbligatoria nei casi di impiego di lavoratori minori di età e di lavoratrici durante la gravidanza; inoltre, per entrambi i soggetti vige il divieto di attribuzione di specifiche tipologie di mansioni.
Il medico competente, che effettua la sorveglianza sanitaria in azienda, ha anche i seguenti compiti principali (art. 25):
collabora con il datore di lavoro e con il Servizio di Prevenzione e Protezione alla valutazione dei rischi, alla predisposizione dell'attuazione delle misure per la tutela della salute e dell'integrità psicofisica dei lavoratori
programma ed effettua la sorveglianza sanitaria (art. 41) attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici; in particolare effettua accertamenti preventivi (intesi a constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati, ai fini della valutazione della loro idoneità alla mansione specifica) e periodici. In caso di riscontri di inidoneità specifica alla mansione, il D.L. deve adibire il lavoratore a mansioni equivalenti (o inferiori, in caso di impossibilità, mantenendo però un analogo trattamento economico) istituisce, aggiorna e custodisce soto la propria responsabilità e con salvaguardia del segreto professionale, una cartella sanitaria di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria
alla cessazione dell'incarico, consegna al datore di lavoro, secondo le disposizioni vigenti, la documentazione sanitaria in proprio possesso
alla cessazione del rapporto di lavoro, consegna al lavoratore la documentazione sanitaria in proprio possesso ed invia all'ISPESL le relative cartelle sanitarie e di rischio, esclusivamente per via telematica nei casi previsti
effettua visite periodiche degli ambienti di lavoro, almeno una volta all'anno
partecipa alla programmazione del controllo dell'esposizione dei lavoratori
comunica per iscritto in occasione della "riunione periodica" (art. 35 del D.Lgs) i risultati anonimi e collettivi della sorveglianza sanitaria
collabora all'organizzazione del Servizio di Primo Soccorso (vedi: par. 5.6. "Misure di primo soccorso")
collabora all'attività di formazione e informazione dei lavoratori (vedi: par. 5.2. "Informazione e formazione dei lavoratori"); fornisce informazioni sul significato della sorveglianza sanitaria, informando ogni lavoratore dei risultati della sorveglianza sanitaria (rilasciando, a richiesta copia della documentazione sanitaria).
In sintesi: il medico competente tiene una cartella sanitaria per ogni lavoratore e li informa sugli accertamenti sanitari svolti; la cadenza delle visite periodiche può variare in ragione del fattore di rischio cui il lavoratore è esposto; è tenuto, su richiesta del lavoratore, a rilasciargli copia della documentazione sanitaria.
Si rammenta che esistono due accordi relativi all'accertamento di assenza di alcoldipendenza e tossicodipendenza qualora i lavoratori siano adibiti a mansioni che comportino l'uso di mezzi su strada che richiedono la patente B e C (alcol) oppure C (tossicodipendenze).
Il medico competente può essere (art. 39) un dipendente dell'azienda, un libero professionista, ovvero un dipendente o collaboratore di una struttura esterna pubblica o privata con la quale il titolare dell'azienda si convenziona.
Deve comunque essere in possesso di un titolo specifico (indicati all#39;art. 38, talvolta con limitazioni specifiche), quale ad esempio la specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica, la specializzazione in igiene e medicina preventiva o in medicina legale, docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori.
Il medico competente è tenuto ad aggiornarsi e viene iscritto nell#39;elenco dei medici competenti istituito presso il Ministero della Salute.
Il datore di lavoro è tenuto ad assicurare al medico le condizioni necessarie per svolgere i suoi compiti in autonomia.
Il dipendente di una struttura pubblica non può svolgere l'attività di medico competente qualora esplichi attività di vigilanza.
Anche in ambito agricolo l'esposizione ad agenti cancerogeni può costituire una dei fattori di sorveglianza sanitaria obbligatoria. Il Titolo IX, capo II del T.U. è interamente dedicato ai lavoratori esposti ad agenti cancerogeni e mutageni, e prevede vari adempimenti a carico del datore di lavoro, tra i quali:
Inoltre il datore di lavoro è tenuto ad adottare (artt. 237 e 238) misure tecniche, organizzative e procedurali idonee a contenere i rischi sia nei casi di lavorazione ordinarie che per i casi di emergenza e/o di esposizione non prevedibile (art. 240) informando e formando (art. 239) i lavoratori sui rischi, sulle precauzioni da prendere e sulle modalità per prevenire gli incidenti e ridurne al minimo le conseguenze, anche in caso di operazioni operative particolari quali ad esempio quelle di manutenzione (art. 241).
La sorveglianza sanitaria per i lavoratori esposti ad agenti cancerogeni e mutageni prevede in genere l'effettuazione di esami clinici e biologici (previo informazione dei lavoratori), a valle dei quali il datore di lavoro, su parere del MC, adotta misure preventive e protettive dei lavoratori, fino all'allontanamento del lavoratore stesso (art. 42).
Per tali lavoratori è d'obbligo:
Il datore di lavoro è obbligato a tenere un registro cartaceo o informatizzato nel quale sono annotati cronologicamente gli infortuni sul lavoro che comportano un'assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell'evento.
Nel registro sono annotati il nome, il cognome, la qualifica professionale dell'infortunato, le cause e le circostanze dell'infortunio, nonché la data di abbandono e di ripresa del lavoro.
Il datore di lavoro deve comunicare all'INAIL, a fini statistici e informativi, a mezzo fax o per posta ordinaria, i dati relativi agli infortuni sul lavoro entro 48 ore dalla ricezione del certificato medico (art. 18, lettera r, del T.U.).
Il datore di lavoro è altresì obbligato a effettuare comunicazione in merito ad infortuni di durata superiore a 3 giorni a fini assicurativi; tale comunicazione può essere effettuata on-line al sito INAIL (le aziende agricole non sono ancora abilitate a tale servizio telematico).
Il registro verrà abolito dopo l'istituzione del SINP ("Sistema Informativo Nazionale per la Prevenzione nei luoghi di lavoro", di cui al comma 6, art. 53 del D.Lgs. 81/2008).
Qualora, data la natura dell'attività e dei luoghi in cui essa si svolge, vi sia pericolo d'incendio, il datore di lavoro deve adottare (art. 46) le misure necessarie ai fini della relativa prevenzione e dell'evacuazione dei lavoratori, nonché per il caso di pericolo grave e immediato.
Tali misure devono essere adeguate alla natura dell'attività, alle dimensioni dell'azienda e al numero delle persone presenti.
Con riferimento a:
sono definiti:
a: i criteri diretti ad individuare:
b: le caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio di cui all'art. 12, compresi i requisiti del personale addetto e la sua formazione.
Le indicazioni fornite dal citato D.M. continuano ad applicarsi fino all'emanazione dei nuovi Decreti previsti dal D.Lgs 81/2008.
L'art. 1 del D.M. fissa il campo di applicazione delle disposizioni, stabilendo che esso "si applica alle attività che si svolgono nei luoghi di lavoro come definiti dall'art. 30, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, come modificato dal decreto legislativo 19 marzo 1996, n. 242, di seguito denominato decreto legislativo n. 626/1994".
L'art. 62 del T.U. ridefinisce come "luoghi di lavoro", quelli "destinati ad ospitare posti di lavoro, ubicati all'interno dell'azienda o dell'unità produttiva, nonché ogni altro luogo di pertinenza dell'azienda o dell'unità produttiva accessibile al lavoratore nell'ambito del proprio lavoro". Non sono ricompresi i "campi, boschi e altri terreni facenti parte di un'azienda agricola o forestale" (che già il D.Lgs 626/94 escludeva esplicitamente, ma che inizialmente il D. Lgs. 81 aveva classificato come tali).
Quindi, non vi può essere dubbio che le aree edificate delle aziende agricole (come possono essere le stalle, i fienili, i magazzini per il ricovero degli attrezzi, ecc.) accessibili per il lavoro, rientrino nel campo di applicazione previsto dal D.M.
Come detto, la valutazione dei rischi costituisce l'adempimento fondamentale attorno al quale ruota tutto l'impianto del T.U.. In coerenza con questa impostazione, l'art. 2 del D.M. stabilisce che "La valutazione dei rischi di incendio e le conseguenti misure di prevenzione e protezione, costituiscono parte specifica del documento di cui all'art. 4, comma 2, del decreto legislativo n. 626/1994" (valutazione dei rischi aziendali, ripresa dall'art. 17 del T.U.).
Si tratta quindi di integrare la valutazione dei rischi (rumore, vibrazioni, chimico, ..., stress lavoro-correlato) con una parte specifica relativa ai rischi "da incendio".
Il D.M. si riferisce esplicitamente al solo documento scritto di valutazione del rischio, e non anche alla agevolazione di cui al momento godono, come noto, i datori di lavoro che occupano non più di 10 addetti, i quali (ancora per poco tempo) non sono tenuti alla redazione del documento scritto di valutazione dei rischi, ma solo all' "autocertificazione" dell'avvenuta effettuazione della valutazione e degli adempimenti ad essa collegati.
Ciò peraltro non significa che tali ultimi soggetti siano esonerati dalla specifica valutazione dei rischi da incendio, ma più semplicemente che essi dovranno autocertificare l'avvenuta valutazione di tali rischi, come indicato nella circolare ministeriale esplicativa, la quale recita: "Tale specifico adempimento non è previsto per le aziende riportate al comma 11 dell'art. 4 del D.Lgs: in tale circostanza è sufficiente una autocertificazione sulla avvenuta valutazione del rischio di incendio". Si può utilizzare il modello allegato alla citata circolare.
L'allegato I al D.M. contiene indicazioni utili sui criteri di valutazione, ai quali è possibile, ma non obbligatorio, uniformarsi, come disposto dall'art. 2, comma 3, del D.M. stesso.
Se l'applicazione dei criteri indicati nell'allegato I al D.M. costituisce una semplice possibilità, tuttavia l'art. 2, comma 4, del D.M. dispone che il datore di lavoro, nell’effettuare la valutazione, deve individuare il livello di rischio di incendio del luogo di lavoro e, se del caso, di singole parti del luogo medesimo, classificando tale livello in una delle seguenti categorie, in conformità ai criteri di cui all'allegato I del D.M.:
Nell'allegato I del D.M. si trovano le seguenti indicazioni.
Attività a rischio di incendio basso: si intendono a rischio di incendio basso i luoghi di lavoro o parte di essi, in cui sono presenti sostanze a basso tasso di infiammabilità e le condizioni locali e di esercizio offrono scarse possibilità di sviluppo di principi di incendio ed in cui, in caso di incendio, la probabilità di propagazione dello stesso è da ritenersi limitata. Si intendono a rischio di incendio basso i luoghi di lavoro o parte di essi, in cui sono presenti sostanze a basso tasso di infiammabilità e le condizioni locali e di esercizio offrono scarse possibilità di sviluppo di principi di incendio ed in cui, in caso di incendio, la probabilità di propagazione dello stesso è da ritenersi limitata
Attività a rischio di incendio medio: si intendono a rischio di incendio medio i luoghi di lavoro o parte di essi, in cui sono presenti sostanze infiammabili e/o condizioni locali e/o di esercizio che possono favorire lo sviluppo di incendio, ma nei quali, in caso di incendio, la probabilità di propagazione dello stesso è da ritenersi limitata
Nell'allegato IX al D.M., per quanto riguarda il rischio medio da incendio, a titolo esemplificativo e non esaustivo si fa anzitutto riferimento al DPR 1° agosto 2011, n. 151, che ha modificato il D.M. 16 febbraio 1982, concernente la determinazione delle attività soggette alle visite di prevenzione incendi. In esso, per quanto concerne l'agricoltura, sono elencati, tra gli altri, al punto 1) (ex punto 9) gli impianti per il trattamento di prodotti ortofrutticoli e cereali utilizzanti gas combustibili; al punto 27 (ex 35) i mulini per cereali ed altre macinazioni con potenzialità giornaliera superiore a 200 q.li e relativi depositi; al punto 28 (ex 36) gli impianti per l'essiccazione dei cereali e di vegetali in genere con depositi di capacità superiore a 500 q.li di prodotto essiccato; al punto 32 (ex 41) gli stabilimenti ed impianti ove si lavora e/o detiene foglia di tabacco con processi di essiccazione con oltre 100 addetti con quantitativi globali in ciclo e/o in deposito superiore a 500 q.li; al punto 36 (ex 46) i depositi di legnami da costruzione e da lavorazione, di legna da ardere, di paglia, di fieno, di canne, di fascine, di carbone vegetale e minerale, di carbonella, di sughero e di altri prodotti affini; al punto 37 (ex 47) gli stabilimenti e laboratori per la lavorazione del legno con materiale in lavorazione e/o in deposito. L'allegato IX fa anche riferimento al DPR 689/1959, nel quale però non si rinvengono indicazioni ulteriori specifiche per il settore agricolo.
Attività a rischio di incendio elevato: si intendono a rischio di incendio elevato i luoghi di lavoro o parte di essi, in cui per presenza di sostanze altamente infiammabili e/o per condizioni locali e/o di esercizio sussistono notevoli probabilità di sviluppo di incendio e nella fase iniziale sussistono forti probabilità di propagazione delle fiamme, ovvero non è possibile la classificazione come luogo a rischio di incendio basso o medio. Tali luoghi comprendono:
Al fine di classificare un luogo di lavoro o una parte di esso come avente rischio di incendio elevato occorre inoltre tenere presente che:
Vanno, inoltre classificati come luoghi a rischio di incendio elevato quei locali ove, indipendentemente dalla presenza di sostanze infiammabili e dalla facilità di propagazione delle fiamme, l'affollamento degli ambienti, lo stato dei luoghi o le limitazioni motorie delle persone presenti, rendono difficoltosa l'evacuazione in caso di incendio.
Nell'allegato IX, fra gli esempi di luoghi di lavoro a rischio di incendio elevato, non figura alcuna attività agricola. Ciò non toglie che sulla base delle indicazioni riportate un luogo di lavoro agricolo possa essere considerato ad elevato rischio di incendio.
A seguito della valutazione dei rischi da incendio, il datore di lavoro deve adottare le misure indicate nell'art. 3 (Misure preventive, protettive e precauzionali di esercizio) del D.M. e finalizzate a:
Dalla lettura combinata del T.U. e del D.M. si ricava piuttosto agevolmente che le misure di prevenzione sono rivolte non solo e non tanto alla prevenzione degli incendi pura e semplice, quanto piuttosto alla salvaguardia dei lavoratori e delle altre persone presenti nel luogo di lavoro.
Le misure di prevenzione da adottare devono quindi essere graduate non solo in ragione del grado di rischio che viene valutato, ma anche in relazione alla presenza o meno, ed in che numero, di lavoratori nei luoghi edificati dell'azienda.
Prevenzione nelle piccole aziende o con rischio "generico"Dalla lettura degli allegati al D.M. si ricavano una serie di indicazioni utili per i piccoli luoghi di lavoro, nonché per i luoghi in cui, in sede di valutazione del rischio, si verifica che nessuna persona sia particolarmente esposta a rischio.
Nel paragrafo 1.4.2. dell'allegato I si legge, con riferimento alle situazioni anzidette, che "occorre solamente seguire i criteri generali finalizzati a garantire per chiunque una adeguata sicurezza antincendio", senza quindi dover adottare misure particolari.
Ancora, nell'allegato IV, dedicato alle misure di rivelazione ed allarme, nel paragrafo 4.2. (misure per i piccoli luoghi di lavoro), si esclude l'installazione di un sistema di allarme automatico qualora tutto il personale lavori nello stesso ambiente.
L'allegato I del D.M., indica che qualora non sia possibile il pieno rispetto delle misure previste, si dovrà provvedere ad altre misure di sicurezza compensative, che vengono elencate.
Ad esempio, per quanto riguarda le vie di esodo vengono considerare compensative le seguenti misure: riduzione dei percorso di esodo; protezione delle vie di esodo; realizzazione di ulteriori percorsi di esodo e di uscite; installazione di ulteriore segnaletica; potenziamento dell'illuminazione di emergenza; messa in atto di misure specifiche per persone disabili; incremento del personale addetto alla gestione dell'emergenza ed all'attuazione delle misure per l'evacuazione; limitazione dell'affollamento.
L'art. 5 del D.M. obbliga il datore di lavoro ad adottare le necessarie misure organizzative e gestionali da attuare in caso di incendio.
Tali misure devono essere riportate in un piano di emergenza, da elaborare in conformità ai criteri di cui all'allegato VIII.
Tuttavia per i luoghi di lavoro ove sono occupati meno di 10 dipendenti, il datore di lavoro non è tenuto alla redazione del piano di emergenza, ferma restando l'adozione delle necessarie misure organizzative e gestionali da attuare in caso di incendio.
Ai fini del computo dei dipendenti, si rinvia al par. 4.1. "Come 'contare' il numero dei lavoratori".
Il D.M., al comma 2 dell'art. 2, dispone che "Nel documento di cui al comma 1 sono altresì riportati i nominativi dei lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi, lotta antincendio e di gestione delle emergenze, o quello del datore di lavoro".
Il datore di lavoro è quindi tenuto ad incaricare propri dipendenti dell'attuazione delle misure adottate in azienda per la prevenzione incendi ed i casi di emergenza.
Il datore di lavoro che invece, ai sensi dell'art. 34 del T.U., può svolgere direttamente i compiti di R.S.P.P., può assumere direttamente anche il compito di prevenzione incendi e di evacuazione, purchè l'impresa non abbia più di 5 lavoratori. In caso di superamento di tale limite, i datori di lavoro di aziende agricole e zootecniche sono obbligati ad incaricare almeno uno dei lavoratori.
Il D.L. può assumere tale compito anche in presenza di un R.S.P.P. diverso da lui stesso.
Resta salva per il datore di lavoro la facoltà di far ricorso a persone o servizi esterni all'azienda se le capacità dei dipendenti all'interno dell'azienda o dell'unità produttiva sono ritenute insufficienti.
L'art. 7 del D.M. prevede che i lavoratori designati debbano frequentare un apposito corso di formazione in materia di prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione dell'emergenza.
Il livello della formazione deve essere graduato a seconda del grado di rischio emerso in sede di valutazione.
Le linee guida per il contenuto e la durata dei corsi per l'acquisizione della qualifica di addetto alla lotta contro gli incendi sono contenuti nell'allegato IX del D.M.:
Il corso è soggetto a obbligo di aggiornamento, sulla cui entità saranno fornite specifiche indicazioni in future disposizioni (art. 37 del T.U.); mancando indicazioni in tal senso, a titolo puramente indicativo si anticipa che per il Primo Soccorso è stabilita una periodicità triennale.
Per i datori di lavoro e la relativa formazione antincendio, si configurano 2 casi possibili:
Il datore di lavoro è inoltre tenuto ad assicurare anche agli altri lavoratori una adeguata informazione, formazione e addestramento: queste possono limitarsi anche ad avvisi scritti che riportino le azioni essenziali che devono essere attuate in caso di allarme o di incendio.
Nei piccoli luoghi di lavoro l'informazione può limitarsi ad avvertimenti antincendio riportati tramite apposita cartellonistica.
L'allegato VII del D.M. dispone infine che nei luoghi di lavoro in cui sia obbligatorio redigere il piano di emergenza devono tenersi, almeno una volta all'anno, esercitazioni antincendio per mettere in pratica le procedure di esodo e di primo intervento.
Nei luoghi di lavoro di piccole dimensioni, l'esercitazione deve coinvolgere il personale nell'attuare quanto segue: a) percorrere le vie d'uscita; b) identificare le porte resistenti al fuoco, ove esistenti; identificare la posizione dei dispositivi di allarme; identificare l'ubicazione delle attrezzature di spegnimento.
Il datore di lavoro, tenendo conto della natura dell'attività e delle dimensioni dell'azienda ovvero dell'unità produttiva, sentito il medico competente ove previsto, prende i provvedimenti necessari in materia di primo soccorso e di assistenza medica di emergenza, tenendo conto delle altre eventuali persone presenti sui luoghi di lavoro e stabilendo i necessari rapporti con i servizi esterni (soccorso pubblico di emergenza; carabinieri; vigili del fuoco), anche per il trasporto dei lavoratori infortunati.
Il Decreto del Ministero della Salute del 15 luglio 2003, n. 388 recante "il Regolamento recante disposizioni sul primo soccorso aziendale", riporta importanti indicazioni in merito all'organizzazione del Primo Soccorso. Di seguito si riportano le indicazioni più rilevanti.
Ogni anno le aziende e le unità produttive vengono classificate in tre gruppi, in relazione alla tipologia di attività svolta, del numero dei lavoratori occupati e dei fattori di rischio.
Al Gruppo A sono classificate Aziende o unità produttive a rischio più elevato, appartengono tuttora, tra l'altro:
Al Gruppo B sono classificate le Aziende o unità produttive con tre o più lavoratori che non rientrano nel gruppo A.
Al Gruppo C sono classificate le Aziende o unità produttive con meno di tre lavoratori che non rientrano nel gruppo A.
Il datore di lavoro, sentito il medico competente, deve identificare la categoria di appartenenza della propria azienda od unità produttiva; solo nel caso appartenga al Gruppo A, lo comunica all'Azienda Unità Sanitaria Locale competente sul territorio, per la predisposizione degli interventi di emergenza del caso.
Nelle aziende o unità produttive di gruppo A e di gruppo B, il datore di lavoro deve garantire le seguenti attrezzature:
Nelle aziende o unità produttive di gruppo A, anche consorziate, il datore di lavoro, sentito il medico competente, quando previsto è tenuto anche a garantire il raccordo tra il sistema di primo soccorso interno ed il sistema di emergenza sanitaria di cui al decreto del Presidente della Repubblica del 27 marzo 1992 e successive modifiche.
Nelle aziende o unità produttive di gruppo C, il datore di lavoro deve garantire le seguenti attrezzature:
Se sono presenti lavoratori che prestano la propria attività in luoghi isolati, diversi dalla sede aziendale o unità produttiva, il datore di lavoro è tenuto a fornire loro il pacchetto di medicazione ed un mezzo di comunicazione idoneo per raccordarsi con l'azienda al fine di attivare rapidamente il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale.
CONTENUTO MINIMO DELLA CASSETTA DI PRONTO SOCCORSO
CONTENUTO MINIMO DEL PACCHETTO DI MEDICAZIONE
In analogia al tema della lotta antincendio, il datore di lavoro che svolge il compito di RSPP può svolgere direttamente anche quello di addetto al primo soccorso, purché l’impresa non abbia più di 5 lavoratori. In caso di superamento di tale limite, anche i datori di lavoro delle aziende agricole e zootecniche sono obbligati a designare almeno un addetto al primo soccorso; tali addetti risulteranno incaricati dell'attuazione delle misure primo soccorso e non potranno rifiutare la designazione, se non (ad esempio) per una inidoneità espressa dal medico competente in base alle condizioni di salute.
Ovviamente il D.L. può assumere tale compito anche in presenza di un R.S.P.P. diverso da lui stesso.
Dal T.U. si deduce che gli addetti al primo soccorso devono essere sottoposti ad adeguata formazione con istruzione teorica e pratica per l'attuazione delle misure di primo intervento interno e per l'attivazione degli interventi di primo soccorso. Lo scopo è quello di garantire ad un operatore ferito un primo tempestivo e corretto soccorso.
La formazione dei lavoratori designati è svolta da personale medico, in collaborazione, ove possibile, con il sistema di emergenza del Servizio Sanitario Nazionale. Nello svolgimento della parte pratica della formazione il medico può avvalersi della collaborazione di personale infermieristico o di altro personale specializzato.
Per le aziende o unità produttive del gruppo A, i contenuti e i tempi minimi (16 ore) sono riportati nell’allegato 3 del Decreto e devono prevedere anche la trattazione dei rischi specifici dell’attività svolta.
Per le aziende o unità produttive del gruppo B e del gruppo C, i contenuti ed i tempi minimi (12 ore) del corso di formazione sono riportati nell’allegato 4 del Decreto.
Sono considerati validi i corsi di formazione per gli addetti al primo soccorso ultimati entro la data di entrata in vigore del citato Decreto (3 febbraio 2005).
La formazione dei lavoratori designati deve essere ripetuta con cadenza triennale almeno per quanto attiene alla capacità di intervento pratico (4 ore).
Il datore di lavoro, in collaborazione con il medico competente, individua e rende disponibili le attrezzature minime di equipaggiamento ed i dispositivi di protezione individuale per gli addetti al primo intervento interno ed al primo soccorso.
Le attrezzature ed i dispositivi di cui sopra devono essere appropriati rispetto ai rischi specifici connessi all'attività lavorativa dell'azienda e devono essere mantenuti in condizioni di efficienza e di primo impiego e custoditi in luogo idoneo e facilmente accessibile.
Nelle aziende, ovvero unità produttive, che occupano più di 15 lavoratori, il datore di lavoro, direttamente o tramite il SPP, indice almeno una volta all'anno (e comunque in occasione di eventuali significative variazioni di rischio aziendale) una riunione (art. 35) cui partecipano:
Nelle aziende, ovvero unità produttive, che occupano fino a 15 lavoratori, il RLS può chiedere la convocazione di un'apposita riunione in occasione delle variazioni delle condizioni di esposizione al rischio, compresa la programmazione e l'introduzione di nuove tecnologie che abbiano riflessi sulla sicurezza e salute dei lavoratori.
Nel corso della riunione il datore di lavoro sottopone all'esame dei partecipanti:
Durante la riunione possono essere discussi e individuati codici di comportamento e buone prassi, oltre che obiettivi di miglioramento generale della sicurezza aziendale.
E' prevista la redazione di una verbale della riunione, a disposizione dei partecipanti per la sua consultazione.
Il T.U. pone obblighi e diritti anche in capo ai lavoratori (artt. 20 e 78).
Ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione ed alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.
In particolare i lavoratori:
In tutte le aziende è eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS), che può essere a livello di sito produttivo, aziendale, territoriale o di comparto.
Il T.U., dispone che l'elezione dei rappresentanti per la sicurezza aziendali, territoriali o di comparto, salvo diverse determinazioni in sede di contrattazione collettiva, avvenga di norma in corrispondenza della giornata nazionale per la sicurezza e salute sul lavoro, su tutto il territorio nazionale, come individuata con decreto (non ancora emanato) del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori.
A seconda che l'azienda occupi fino a 15 lavoratori o più di 15 lavoratori, il T.U. detta norme diverse per la sua elezione diretta da parte dei lavoratori o per la sua designazione dell'ambito delle rappresentanze sindacali, ed in ogni caso rimanda alla contrattazione collettiva (anche per quanto riguarda tempo di lavoro retribuito e strumenti per l'espletamento delle funzioni. In particolare, per le aziende:
Per quanto riguarda la contrattazione collettiva, occorre riferirsi al "Verbale di accordo" su "Rappresentante per la sicurezza e Comitati paritetici", siglato tra le parti sociali agricole il giorno 25 maggio 2010, e che costituisce parte integrante (allegato 3) del vigente Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per gli Operai Agricoli e Florovivaisti (2010-2013).
Al punto 1 del "Verbale" le parti convengono:
Il punto 2 del "Verbale" disciplina le modalità di elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza:
Il RLS deve essere obbligatoriamente consultato in ordine alla valutazione dei rischi (preventivamente, e della quale riceve copia del documento, anche su supporto informatico, consultandolo esclusivamente in Azienda), alla designazione del RSPP, all'organizzazione della formazione ed alla programmazione della prevenzione, alla designazione degli addetti al servizio di prevenzione, ai programmi per la formazione dei lavoratori, ed in generale in ordine ad ogni servizio di prevenzione debba essere organizzato. Può fare ricorso alle autorità competenti, qualora ritenga inidonee le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate in azienda.
Il RLS ha un proprio autonomo potere di proposta, deve obbligatoriamente essere messo nelle condizioni di frequentare appositi corsi di formazione professionale e deve disporre del tempo necessario allo svolgimento dell'incarico senza perdita di retribuzione nonché dei mezzi necessari per l'esercizio delle funzioni e delle facoltà riconosciutegli.
La nomina a RLS è incompatibile con la nomina a RSPP o ad ASPP.
Il RLS per la sicurezza territoriale esercita le competenze dei RLS con riferimento a tutte le aziende o unità produttive o del comparto in cui l'RLS non sia stato né eletto, né designato.
Presso l'INAIL verrà costituito un fondo di sostegno a favore della PMI, dei RLS territoriale e della Pariteticità. Al fondo partecipano tutte le aziende o unità produttive nel cui ambito non sia stato eletto o designato il RLS.
La durata, i contenuti minimi e le modalità dei formazione del RLS saranno definiti dall'accordo di cui al punto 5.1.1.2., di futura emanazione.
Nel frattempo, viene fatto salvo quanto stabilito dal già citato Decreto 16 gennaio 1997, in cui contenuti della formazione del RLS sono quelli di seguito indicati:
Il Decreto stabilisce che la durata dei corsi per i rappresentanti dei lavoratori è di 32 ore, con durata di aggiornamento periodico annuale della durata di 4/8 ore, secondo che l'azienda di riferimento abbia fino/oltre 50 addetti (una Circolare Ministeriale rende non significativo il limite dei 15 addetti indicato nel T.U.).
Vengono però fatte salve le diverse determinazioni della contrattazione collettiva. A questo proposito occorre riferirsi al già citato "Verbale di accordo" (vedi: par. 6.1. "Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza"). Il punto 5 del "Verbale di Accordo", dedicato alla "Formazione dei Rappresentanti per la sicurezza", stabilisce che:
Il "Verbale" stabilisce, inoltre, che la formazione dei Rappresentanti per la sicurezza, i cui oneri sono a carico della aziende, si deve svolgere mediante permessi retribuiti aggiuntivi rispetto a quelli previsti per la loro normale attività.
Per quanto attiene il RLS territoriale (art. 48, comma 7) ha diritto ad una formazione particolare in materie di salute e sicurezza; le modalità la durata e i contenuti specifici sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva: il percorso formativo consterà di almeno 64 ore iniziali (da effettuare entro 3 mesi dalla data di lezione o di designazione) cui si aggiungeranno 8 ore di aggiornamento annuale.
La nozione di dirigente è stata elaborata in linea generale - e cioè a tutti i fini del diritto del lavoro e della previdenza sociale - dalla giurisprudenza giuslavoristica.
In particolare la giurisprudenza riconosce la figura del dirigente nel lavoratore che con la sua attività influisca sull'intera azienda o (nelle aziende di grandi dimensioni) su una ramo rilevante di essa, senza essere soggetto al potere gerarchico di nessun altro lavoratore.
Il preposto è colui che sovraintende il lavoro degli altri. Egli è generalmente un operaio specializzato con funzioni di guida e controllo.
In ogni caso, ai fini della sussistenza degli obblighi e delle responsabilità in materia di igiene e sicurezza, ciò che rileva non è tanto la qualifica formalmente posseduta quanto la circostanza che le mansioni di dirigente o di preposto siano in concreto espletate.
La definizione che ci pare più plausibile di queste due figure è quella che vede il dirigente come colui che assomma in sé poteri, funzioni e responsabilità tali da poter essere considerato, a tutti gli effetti, "l'alter ego" del datore di lavoro, mentre il preposto svolge solo funzioni di controllo e sorveglianza con poteri (e, di conseguenza, responsabilità) più contenuti.
È in ogni caso sul datore di lavoro che ricade interamente la responsabilità dell'organizzazione complessiva della sicurezza nella propria azienda, per l'osservanza delle misure generali di tutela dei lavoratori previste dal Decreto Legislativo.
Tuttavia, il datore di lavoro ha la possibilità di delegare, a dirigenti e preposti, dandone adeguata e tempestiva pubblicità, un consistente numero degli adempimenti previsti a proprio carico (art. 16), purché:
Si rammenta che, malgrado la delega di funzioni, permane, in capo al datore di lavoro, l'obbligo di vigilare sul corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite, anche attraverso i sistemi di verifica e controllo di cui all'articolo 30, comma 4 del D.Lgs.
Il datore di lavoro non può comunque delegare né a dirigenti né a preposti i seguenti adempimenti (art. 17):
Ogni qualvolta l'impresa debba ricorrere a servizi resi da altre imprese o lavoratori autonomi (per esempio, quando si ricorre a ditte di contoterzisti), il titolare deve (art. 26) preventivamente verificare l'idoneità tecnico professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi cui intende affidare il lavoro; in attesa dell’emanazione del D.P.R. di cui all’articolo 6, comma 8, lettera g (previsto entro il 15 maggio 2009), tale verifica può essere eseguita attraverso le seguenti modalità:
Inoltre, il datore di lavoro deve fornire dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui devono operare, sulle misure di prevenzione e di emergenze adottate in relazione alla propria attività concordando le azioni necessarie ad evitare ogni rischio in caso di compresenza dei propri lavoratori dipendenti quando l'altra ditta esegue i lavori.
Il datore di lavoro committente promuove la cooperazione ed il coordinamento elaborando un unico documento di valutazione dei rischi (che dovrà essere aggiornato in caso di evoluzione dei lavori, delle forniture,..) che indichi le misure adottate per eliminare le interferenze o ridurle al minimo. Tale documento, da allegare al contratto di appalto o d'opera, non si rende necessario per lavori di durata inferiore ai 2 giorni o se trattasi di sola fornitura di merce o di servizi intellettuali.
L'imprenditore committente risponde in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall'appaltatore o dal subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell'INAIL.
Ferme restando le disposizioni in materia di sicurezza e salute del lavoro previste dalla disciplina vigente degli appalti pubblici, nei contratti di somministrazione, di appalto e di subappalto, di cui agli articoli 1559, 1655 e 1656 del codice civile, devono essere specificamente indicati i costi relativi alla sicurezza del lavoro. A tali dati possono accedere, su richiesta, il rappresentante dei lavoratori e le organizzazioni sindacali dei lavoratori.
In base a queste disposizione, colui che vende la macchina o l'attrezzo (per esempio, un trattore) non in regola con le norme antinfortunistiche, ne risponde anche nella fase di intermediazione commerciale, comunque fino a quando il bene non è formalmente trasferito al nuovo proprietario. Ed anche a trasferimento avvenuto il venditore potrebbe essere chiamato in causa per rispondere della propria responsabilità.
Il soggetto venditore al quale ci si riferisce non è esclusivamente il costruttore, ma può ben essere anche l'imprenditore agricolo che cede ad un terzo un macchinario da lui precedentemente acquistato.
Si riporta, infine, in un quadro semplificativo, la struttura del "Testo Unico", con alcune utili corrispondenze al sorpassato D.Lgs 626/1994.
Si rammenta nel contempo che sono state abrogati:
Tab. 1 - D.Lgs 81/2008: struttura, contenuti sintetici e riferimenti a norme precedenti.
Titolo | Capo | Sez. | Articoli | Argomento | Contenuti e Riferimenti al D.Lgs 626/94 e norme precedenti |
I | I | - | da 1 a 4 | Disposizioni Generali | Finalità, definizioni, campo di applicazione, criteri del computo dei lavoratori |
I | II | - | Da 5 a 14 | Sistema Istituzionale | Comitato per l'indirizzo, Commissione Consultiva Permanente, Sistema Informativo Nazionale, INAIL/ISPESL/IPSEMA, Interpello, Competenze in vigilanza |
I | III | I | Da 15 a 27 | Tutela e obblighi | Misure Generali di tutela, obblighi specifici dei soggetti, Obblighi Datore di lavoro, Obblighi contratti appalto/d'opera/somministrazione, qualificazione imprese/lavoratori autonomi |
I | III | II | Da 28 a 29 | Valutazione dei Rischi | Oggetto/Contenuto del documento, Modalità di effettuazione della valutazione I III II 30 Organizzazione e Gestione Definizione del Modello di organizzazione e di gestione |
I | III | III | Da 31 a 35 | Servizio Prevenzione e Protezione | Analogo al D.Lgs 626/94, innovazioni per svolgimento diretto del DdL dei compiti di Prevenzione e Protezione |
I | III | IV | Da 36 a 37 | Formazione, Informazione, Addestramento | Definizione delle modalità di Formazione/Informazione/Addestramento |
I | III | V | Da 38 a 42 | Sorveglianza Sanitaria | Titoli/Requisiti/Modalità di svolgimento dell'attività del M.C., obbligo di aggiornamento del M.C., Modalità di Sorveglianza Sanitaria |
I | III | VI | Da 43 a 46 | Gestione Emergenze | Analogo al D.Lgs 626/94, Obblighi del DdL sulle misure di emergenza/primo soccorso, Diritti dei lavoratori in pericolo grave |
I | III | VII | Da 47 a 52 | Rappresentanti Lavoratori e Comitati Paritetici | Analogo al D. Lgs 626/94 (Titolo II), valorizza il Rappresentante territoriale, introduzione del Rappresentante di Sito, Prerogative Organi Paritetici, Istituzione Fondo di sostegno |
I | III | VIII | Da 53 a 54 | Documentazioni e statistiche infortuni | Consente utilizzo di tecnologie informatizzate |
I | IV | - | Da 55 a 61 | Sanzioni | Quadro sanzionatorio per i diversi soggetti |
II | - | - | Da 62 a 68 | Luoghi di lavoro | Recepisce D.Lgs 626/94 e parti del D.P.R. 303/56. |
III | I | - | Da 69 a 73 | Attrezzature di lavoro | Recepisce D.Lgs 626/94 e parti del D.P.R. 547/55 |
III | II | - | Da 74 a 79 | Dispositivi Protezione Individuale | Recepisce D.Lgs 626/94 (Titolo IV) |
III | III | - | Da 80 a 87 | Impianti e apparecchiature elettriche | Recepisce parti del DPR 547/55 e norme di buona tecnica |
IV | I | - | Da 88 a 104 | Cantieri Temporanei e Mobili | Recepisce parti del D.Lgs 494/96 e del D.P.R .222/2003 |
IV | II | - | Da 105 a 156 | Costruzioni e lavori in quota | Recepisce parti di varie Norme previgenti |
IV | II | - | Da 157 a 160 | Sanzioni | Nuove sanzioni per tutti i soggetti |
V | - | - | Da 161 a 166 | Segnaletica | Recepisce parti del D.Lgs 493/96 |
VI | - | - | Da 167 a 171 | Movimentazione Manuale Carichi | Recepisce D.Lgs 626/94 (Titolo V) |
VII | - | - | Da 172 a 179 | Videoterminali | Recepisce D.Lgs 626/94 (Titolo VI) |
VIII | - | - | Da 180 a 220 | Agenti Fisici | Recepisce D.Lgs 626/94 (Titolo V-bis) e diverse altre norme |
IX | I | - | Da 221 a 232 | Agenti Chimici | Recepisce D.Lgs 626/94 (Titolo VII-bis) |
IX | II | - | Da 233 a 245 | Agenti Cancerogeni e Mutageni | Recepisce D.Lgs 626/94 (Titolo VII) |
IX | III | - | Da 246 a 261 | Amianto | Recepisce D.Lgs 257/06 (Titolo VII) |
IX | VI | - | Da 262 a 265 | Sanzioni | Nuove sanzioni per tutti i soggetti |
X | I, II, III | - | da 266 a 286 | Agenti Biologici | Recepisce D.Lgs 257/06 (Titolo VIII) |
XI | - | - | Da 287 a 297 | Atmosfere Esplosive | Recepisce D.Lgs 257/06 (Titolo VIII-bis) |
XII | - | - | Da 298 a 303 | Disposizioni penali | Disposizioni in materia penale e di procedura penale, principio di specialità, esercizio di poteri direttivi, definizione contravvenzioni, ecc. |
XIII | - | - | Da 304 a 306 | Abrogazioni e Norme Finali | Esprime le norme abrogate e le date di entrata in vigore di alcune norme. |
Con il nuovo decreto si è provveduto a perseguire l'obiettivo di riformulare e razionalizzare l'apparato sanzionatorio, amministrativo e penale, collegato alle violazioni delle norme vigenti e alle infrazioni alle disposizioni contenute.
Non si può dire che non ci fossero norme sanzionatorie, numerose e severe già in precedenza; cumulando infatti le contravvenzioni e le sanzioni amministrative contenute nei vari Decreti abrogati, ne sono state conteggiate oltre 1700, di cui circa l'80% a carico del datore di lavoro e del dirigente.
Le sanzioni penali dell'arresto e dell'ammenda sono previste solo nei casi in cui le infrazioni incidano troppo negativamente sugli interessi generali dell'ordinamento, e sono comminate in via esclusiva ovvero alternativa.
In tutti i casi di inosservanza degli obblighi puniti con sanzione pecuniaria amministrativa, il trasgressore, per estinguere l'illecito amministrativo, è ammesso al pagamento di una somma pari alla misura minima prevista dalla legge qualora provveda a regolarizzare la propria posizione non oltre il termine assegnato dall'organo di vigilanza mediante verbale di primo accesso ispettivo.Tuttavia il personale ispettivo può - in extremis - adottare anche provvedimenti di sospensione di un'attività imprenditoriale qualora riscontri. gravi e reiterate (ovvero lo stesso soggetto commette più volte la stessa violazione nell'arco di 5 anni) violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
L'arresto può essere tramutato in una salata ammenda su richiesta dell'imputato sempre che non abbia già subito condanne per mancata prevenzione o per lesioni o omicidio colposo, se entro la conclusione del giudizio di primo grado risultino eliminate tutte le irregolarità, le fonti di rischio e le eventuali conseguenze dannose del reato.
Si ricorda infine che per le imprese fino a 10 addetti, e sino all'emanazione dell'apposito decreto applicativo, è prevista la possibilità dell'autocertificazione (nei limiti e nella forma indicata al par. 4 -Valutazione dei rischi-) che poi sarà comunque da sostituire con una valutazione eseguita con procedure standardizzate o con un documento di valutazione integrale.
A titolo puramente esemplificativo, si riportano di seguito alcune delle sanzioni, riferite alle tematiche di maggiore rilievo trattate e sinteticamente indicate, e i soggetti coinvolti.
Norma | Soggetto sanzionabile | Entità della sanzione |
Art. 29, comma 1 (rif. Art. 17, comma 1) (valutazione dei rischi)
- obbligo di valutazione - obbligo di elaborare il documento di valutazione |
Datore di Lavoro e Dirigente | La carenza è sanzionata con l'arresto da 3 a 6 mesi o con l'ammenda da 2.500 a 6.400 euro (in casi particolari con l'arresto da 4 a 8 mesi) |
Art. 18, comma 1, lettera p)
- elaborare il documento di valutazione dei rischi da interferenze nelle attività in appalto e consegna al RLS copia del relativo documento |
Datore di Lavoro e Dirigente | Sanzionato con l'ammenda da 2.000 a 4.000 euro |
Art. 18, comma 1, lettera d)
- fornire ai lavoratori i dispositivi di protezione individuale |
Datore di Lavoro e Dirigente | Sanzionato con l'arresto da 2 a 4 mesi o con l'ammenda da 1.500 a 6.000 euro |
Art. 18, comma 1, lettera r)
- comunica dati e informazioni relativi agli infortuni sul lavoro |
Datore di Lavoro e Dirigente | Sanzionato con l'ammenda da 500 a 1.800 euro (infortuni>1 giorno) e da 1.000 a 4.500 euro (infortuni>3 giorni) |
Art. 18, comma 1, lettera n)
- consentire ai lavoratori, mediante il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS), di verificare l'applicazione delle misure di sicurezza |
Datore di Lavoro e Dirigente | Sanzionato con l'ammenda da 2.000 a 4.000 euro |
Art. 18, comma 1, lettera o)
- consegnare al RLS copia del documento di valutazione dei rischi |
Datore di Lavoro e Dirigente | Sanzionato con l'arresto da 2 a 4 mesi o con l'ammenda da 750 a 4.000 euro |
Art. 36, comma 2, lettere a) e b)
- informazione al lavoratore sui rischi specifici della mansione svolta |
Datore di Lavoro e Dirigente | Sanzionato con l'arresto da 2 a 4 mesi o con l'ammenda da 1.200 a 5.200 euro |
Art. 37, comma 1
- formazione al lavoratore sui rischi generali d'impresa e specifici della mansione svolta |
Datore di Lavoro e Dirigente | Sanzionato con l'arresto da 2 a 4 mesi o con l'ammenda da 1.200 a 5.200 euro |
Art. 168, comma 1
- adottare le misure organizzative necessarie e ricorrere ai mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori. |
Datore di Lavoro e Dirigente | Sanzionato con l'arresto da 3 a 6 mesi o con l'ammenda da 2.500 fino a 6.400 euro |
Art. 169, comma 1, lettera a)
1. Tenendo conto dell'allegato XXXIII: - a) fornisce ai lavoratori le informazioni adeguate relativamente al peso ed alle altre caratteristiche del carico movimentato |
Datore di Lavoro e Dirigente | Sanzionato con l'arresto da 2 a 4 mesi o con l'ammenda da euro 750 a 4.000 euro |
Art. 190, comma 1 Valutazione rischi agenti fisici) valuta l'esposizione dei lavoratori al rumore durante il lavoro prendendo in considerazione in particolare: - c) tutti gli effetti sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori particolarmente sensibili al rumore, con particolare riferimento alle donne in gravidanza e i minori |
Datore di Lavoro e Dirigente | Sanzionato con l'arresto da 3 a 6 mesi o con l'ammenda da 2.500 a 6.400 euro |
Art. 227, comma 3
- Laddove i contenitori e le condutture per gli agenti chimici pericolosi utilizzati durante il lavoro non siano contrassegnati da segnali di sicurezza in base a quanto disposto dal titolo V, provvede affinché la natura del contenuto dei contenitori e delle condutture e gli eventuali rischi connessi siano chiaramente identificabili. |
Datore di Lavoro e Dirigente | Sanzionato con l'arresto fino a 6 mesi o con l'ammenda da 2.000 a 4.000 euro |
Art. 235, comma 1
- evitare o ridurre l'utilizzazione di un agente cancerogeno o mutageno sul luogo di lavoro in particolare sostituendolo, se tecnicamente possibile, con una sostanza o un preparato o un procedimento che nelle condizioni in cui viene utilizzato non risulta nocivo o risulta meno nocivo per la salute e la sicurezza dei lavoratori. |
Datore di Lavoro e Dirigente | Sanzionato con l'arresto da 3 a 6 mesi o con l'ammenda da 2.500 a 6.400 euro |
Art.289, comma 2, lettera a)
Se la natura dell'attività non consente di prevenire la formazione di atmosfere esplosive, deve: - a) evitare l'accensione di atmosfere esplosive |
Datore di Lavoro e Dirigente | Sanzionato con l'arresto da 3 a 6 mesi o con l'ammenda da 2.500 a 6.400 euro |
Art. 66, comma 1
- divieto di accesso dei lavoratori in pozzi neri, fogne, camini, fosse, gallerie e in generale in ambienti e recipienti, condutture, caldaie e simili, ove sia possibile il rilascio di gas deleteri, senza che sia stata previamente accertata l'assenza di pericolo per la vita e l'integrità fisica dei lavoratori medesimi, ovvero senza previo risanamento dell'atmosfera mediante ventilazione o altri mezzi idonei. |
Datore di Lavoro e Dirigente | Sanzionato con l'arresto da 6 a 12 mesi o con l'ammenda da 4.000 a 16.000 euro |
Art. 21, comma 1, lettere a) e b) - a) utilizzare attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al Titolo III; - b) minursi di dispositivi di protezione individuale e li utilizzano conformemente alle disposizioni di cui al Titolo III |
Componenti dell'impresa familiare, lavoratori autonomi, i coltivatori diretti del fondo, i soci delle società semplici operanti nel settore agricolo | Sanzionato con l'arresto da 4 a 8 mesi o con l'ammenda da 2.000 a 4.000 euro |
Art. 21, comma 1, lettera c)
- c) sono muniti di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità, qualora svolgano attività in regime di appalto o subappalto. |
Lavoratori autonomi | Sanzionato con ammenda da 50 a 300 euro |
Art. 22
- I progettisti dei luoghi o posti di lavoro e degli impianti rispettano i principi generali di prevenzione |
Progettisti | Sanzionato con l'arresto fino a 6 mesi o con l'ammenda da 1.500 a 6.000 euro |
Art. 23, comma 1
- Sono vietati la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature di lavoro, dispositivi di protezione individuali ed impianti non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro. |
Fabbricanti, fornitori e installatori | Sanzionato con l'arresto da 3 a 6 mesi o con l'ammenda da 10.000 a 40.000 euro |
Art. 25, comma 1, lettera b - b) programmare ed effettuare la sorveglianza sanitaria attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati |
Medico competente | Sanzionato con l'arresto fino a 2 mesi o con l'ammenda da 300 a 1.200 euro |
Art. 20, comma 2, lett. b)
- b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale |
Lavoratori | Sanzionato con l'arresto fino a 1 mese o con l'ammenda da 200 a 600 euro |
Art. 43, comma 3 (primo periodo) - I lavoratori non possono, se non per giustificato motivo, rifiutare la designazione (di addetto alla gestione delle emergenze: Primo Soccorso e Lotta Antincendio) |
Lavoratori | Sanzionato con l'arresto fino a 1 mese o con l'ammenda da 200 a 600 euro |